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Nomadi di cuore



"Non amo la sedentarietà di un cuore. Coloro che non cambiano nulla non diventano nulla", così diceva Antoine de Saint-Exupéry, autore de "Il Piccolo Principe".

Quando ho letto questa frase ho pensato: è giusto quindi non essere coerenti, ma cambiare opinione. Poi ho pensato anche che no, che forse è più giusto avere una visione aperta, una mente capace di viaggiare. Il che non la rende più o meno coerente con se stessa. Poi però ho pensato che qui si parla di cuori e allora mi sono chiesta: che significa avere un cuore sedentario? Quale sarebbe il contrario?

Per sedentarietà si intende qualcosa di immobile che resta fermo. Questa cosa dell'immobilità mi fa subito pensare alla polvere. Alla polvere e al grigio. E a quelle mattine fredde e umide e invase dalla nebbia, dove non si scorge nulla.

Ho l'abitudine di associare sempre un colore a qualcosa e questa cosa del grigio e della polvere e dell'immobilità mi porta la mente al concetto di depressione. Spesso associamo alla depressione il colore nero, io invece ci associo il grigio. Perché essere depressi non significa essere tristi. Essere depressi significa non provare nulla. E il grigio non è nulla. Il grigio è un non-colore. Né vicino al bianco né vicino al nero. Sta lì, in mezzo, fermo.

E avere un cuore sedentario non è forse come dire di avere un cuore depresso? Un cuore fermo, un cuore che non prova nulla?

Io non lo so se Antoine de Saint-Exupéry intendeva dire proprio questo, ma il punto è che questo è quello che ho provato leggendo la sua frase.


In questo anno ho scritto davvero molto poco, in generale voglio dire. Non ho portato avanti le storie che sto scrivendo, non ho postato quasi niente sui social, non ho scritto neanche sul mio diario, l'ultima data risale ad aprile, la precedente era di gennaio. Adesso, leggendo questa frase, capisco come il mio cuore sia rimasto fermo, nel grigio e nella polvere. Forse non sapeva esattamente dove andare, forse aveva bisogno di prendersi una pausa da tutto, compresa la scrittura.

Ci sono volte in cui è necessario smettere di correre, fare meno, fermarsi. Però ci sono anche delle volte in cui la fame e la sete calano, e il desiderio di creare scompare. Ho quasi la convinzione che questi momenti servano da riflessione. Stagnando, le cose, prendono il loro spazio, si creano un posto tutto loro - come dire? - trovano casa.

Non siamo una scatola che si riempie in continuazione. Siamo più simili agli scaffali di una libreria. Alcuni ripiani sono colmi di cose, altri invece hanno ancora spazio. Altri sono letteralmente vuoti. Fintanto che una cosa non ha trovato lo scaffale giusto dove posizionarsi resta perennemente in bilico. La prendiamo, la spostiamo, ma poi ci rendiamo conto che dove l'abbiamo messa non va bene e allora la spostiamo di nuovo. Questo concetto ha un nome: metabolizzazione.

Abbiamo bisogno di metabolizzare quello che ci succede, farlo proprio, digerirlo.

Gli eventi trascorsi, per esempio, non stanno sul ripiano etichettato "passato" perché non esiste nessun ripiano con quel nome.

Un evento che ci ha fatto molto male viene inserito nello scaffale "traumi" e questo scaffale non riguarda il passato, ma riguarda tutta la nostra intera vita presente e futura. Quindi qualsiasi cosa del passato, che crediamo finita, può invece tornare fuori quando meno ce lo aspettiamo, proprio perché nella nostra personalità non esiste una linea continua che va da A a B, ma la nostra personalità è composta da tutti questi scaffali contemporaneamente.

Ecco, seguendo questa logica, è come se quest'anno io avessi tirato giù con forza tutte le cose poste sugli scaffali e le avessi sparpagliate sul pavimento in attesa di capire che cosa dovessi farci ed è già da un po' che me ne sto con tutte queste cose in mano senza sapere dove metterle.

E allora penso che sia saggio se per un po' non penserò più a queste cose. Se lascerò che magari siano loro stesse a trovarsi da sole il proprio posto.

Magari io nel frattempo inizio a spolverare.





 




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